left n. 40, 1 ottobre 2016
Quando i poteri forti bocciano le idee di Keynes
Una moneta mal costruita, come è oggi l’euro, mette in crisi sistemi
economici e benessere dei popoli. L’economista britannico l’aveva
capito e propose un sistema basato sulla compensazione.
di Andrea Ventura
Henry Ford una volta affermò che se la gente capisse la natura del nostro sistema finanziario e creditizio scoppierebbe una rivoluzione domani mattina. In effetti, uno dei principali meccanismi di controllo della società e dei sistemi economici risiede nella generazione della moneta. Da tempo, infatti, la moneta ha perso ogni valore intrinseco: è solo carta, anzi la stessa carta è ormai sostituita da informazioni sui debiti e crediti trasmessi tramite computer. Essa viene generata nel momento in cui un ente o un’istituzioni effettua una richiesta di credito. Se ad esempio un governo ha bisogno di finanziare una spesa, potrebbe stampare un titolo del debito pubblico, venderlo alla Banca centrale e ottenere danaro per coprire il debito stesso. La moneta nasce dunque da uno scambio di carta (il titolo) con carta (la moneta), a cui segue la spesa governativa. Se un’impresa industriale o una famiglia ha bisogno di un prestito per un’investimento, o per acquistare una casa, cede alla banca una garanzia – eventualmente sull’immobile stesso – e la banca attiva sul suo conto una certa somma che può essere spesa per l’investimento in questione. La banca può anche girare questa o altre garanzie alla Banca centrale e ottenere del contante per la propria clientela. Il sistema finanziario nel suo complesso pertanto non ha limiti materiali nell’ammontare delle proprie operazioni. Il vincolo, infatti, è costituito solo dall’opportunità di concedere o meno il credito al soggetto che richiede. In questo contesto, pertanto, la moneta tende ad essere facilmente disponibile per chi è già ricco – le garanzie che i ricchi possono offrire riducono il rischio di perdite per chi concede il credito – e scarsa per chi è povero.
Troppa o troppo poco. La moneta
In Europa la BCE, per statuto, non può finanziare il debito statale. Dunque gli stati devono ricorrere al credito delle banche o ai risparmi dei cittadini, come se fossero dei soggetti privati. Eppure, come si è visto in questi anni, quando il sistema finanziario è gestito in modo fallimentare e deve essere salvato, lo Stato interviene per evitare il disastro: noi come collettività dunque garantiamo per la moneta emessa dal sistema creditizio, con i pesanti costi che ne conseguono, poi però dipendiamo dalle condizioni imposte dalla finanza quando dobbiamo chiedere quella stessa moneta in prestito.
Il fatto poi che la moneta venga immessa dall’esterno (dal sistema bancario nel suo complesso) nell’economia reale, e che la moneta stessa possa essere offerta e sottratta dall’economia reale, è uno dei motivi della crisi che le economie occidentali stanno attraversando. Difficilmente, infatti, essa riesce ad essere offerta nella quantità giusta per assicurare una crescita economica equilibrata. Spesso è troppa, oggi sembra troppo poca e le Banche centrali cercano di aumentarla. I risultati però sono scarsi, sia perché le banche nei periodi di crisi evitano di rischiare offrendo credito, sia perché le imprese hanno poca voglia di prendere a prestito, prevedendo un futuro difficile per i propri prodotti.
Il principio della compensazione
In questi anni di crisi si stanno sviluppando sistemi monetari alternativi basati sul principio della compensazione. Il più noto è il circuito svizzero Vir, costituito nel 1934 per far fronte alla carenza di liquidità generata dalla crisi del 1929. In Italia notevoli sviluppi ha avuto di recente il Sardex, nato in Sardegna, che conta ormai quasi 4000 aderenti; esperienze simili si stanno sviluppando anche in altre regioni italiane. Sul principio della compensazione si basava anche l’Unione Europea dei Pagamenti, nata in Europa nel 1950 per finanziare la ricostruzione del dopoguerra e sciolta nel 1958. Le monete a compensazione funzionano in modo completamente diverso: la moneta non è immessa nel circuito a discrezione di un’istituzione esterna, come può essere una Banca centrale o un istituto di credito, a cui segue in un secondo momento lo scambio o la produzione di merci. Chi è ammesso al circuito acquisisce il diritto di comprare a debito da altri aderenti, i quali a loro volta possono usare quel credito per comprare prodotti da altri soggetti facenti parte del circuito stesso. In questo modo la moneta nasce contestualmente all’atto di scambio, con alcuni importanti vantaggi. Anzitutto alcuni studi effettuati sul Vir hanno mostrato che questi circuiti monetari funzionano in senso anticiclico: in sostanza sono in grado di contrastare la carenza di liquidità dell’economia. Questo perché, mentre le banche, nella crisi, riducono il credito concesso (è il cosiddetto “credit crunch” di cui tanto si discute), dunque tendono ad aggravare la recessione, qui la moneta si genera contestualmente alla circolazione delle merci e in stretto rapporto con l’economia reale. Se serve della moneta, chi aderisce al circuito l’ottiene immediatamente nel momento in cui qualcuno acquista i suoi beni o servizi.
Una moneta non capitalistica
In secondo luogo questo tipo di moneta può essere accumulata solo entro certi limiti, e non frutta interessi. È un vantaggio non da poco, in quanto questo evita che si sottragga del danaro all’economia reale. L’atto di accumulazione della moneta, infatti, corrisponde ad una mancata spesa, dunque è l’altra faccia della mancanza di lavoro. Per questo le crisi economiche sono strettamente connesse agli andamenti finanziari. La moneta a compensazione, inoltre, proprio per il fatto di non poter essere accumulata è una moneta non capitalistica. Essa, infatti, tende a rimane all’interno del circuito, come credito utilizzabile solo per l’acquisto di merci all’interno del circuito stesso, e non ha valore se non in quel contesto. Non vi sono pertanto interessi sui prestiti, né titoli o titoli derivati, né sono possibili quelle astruse “ingegnerie finanziarie” che contraddistinguono le modalità tradizionali di gestione della moneta.
In realtà, rispetto alla gigantesca quantità di moneta che circola nei nostri sistemi economici, i sistemi a compensazione sono gocce nell’oceano: i 50 milioni di euro del Sardex dell’anno scorso, rispetto ai 33 miliardi del Pil della regione Sardegna, non sono molto. Eppure l’esperienza non è da sottovalutare: non solo perché il Sardex ha tassi di crescita che indicano potenzialità ancora inespresse, o perché l’esempio del Sardex e del Vir si costituiscono ormai come modelli da imitare.
Un impiego su larga scala?
Il principio delle monete a compensazione, infatti, ha anche la possibilità di essere impiegato su scala assai più vasta. Alcuni studi suggeriscono che esso potrebbe essere utilizzato, riprendendo appunto l’esperienza dell’Unione Europea dei Pagamenti, per il commercio tra i paesi dell’euro. Attualmente, ad esempio, la Germania ha accumulato un enorme surplus commerciale nei confronti dei paesi del Sud Europa. Questo surplus è l’altra faccia della crisi che investe questi ultimi. Il sistema a compensazione potrebbe essere associato ad un interesse negativo, cioè ad un costo, per i paesi che accumulano un surplus, inducendoli a spendere e a sostenere la crescita di quelli in deficit. A Bretton Woods, nel 1944, quando gli alleati posero le basi per la ricostruzione del sistema finanziario internazionale, Keynes propose una “Clearing Union”, cioè un sistema basato appunto sulla compensazione. Gli interessi contrari erano troppo forti ed egli fu sconfitto. Purtroppo ripensamenti su questioni di questa natura avvengono a seguito di catastrofi che nessuno si può augurare. Eppure la proposta di Keynes sarebbe da riprendere: i problemi che nascono da una moneta mal costruita, come l’Euro, hanno gravi effetti sulle prestazioni dei sistemi economici, sui rapporti tra gli stati e sul benessere dei popoli.